Cosa mangiare ad Expo e dove: i migliori ristoranti, dal costoso all'economico
Meglio un bife de chorizo che arriva dalla pampa o un kimchi di cavolo come si mangia a Seul? Preferite un ghafghazi preparato con la ricetta originale di Teheran o non vi perdereste per nessuna ragione al mondo le moules marinières che avete assaggiato una volta a Ostenda?
Grande è la confusione sotto il sole dell’Expo; quindi la situazione è eccellente. Almeno per golosi e food lovers di ogni dove.
Così mentre la stampa si accalora sui ritardi nella costruzione dei padiglioni, mentre i tecnici filosofeggiano sui progetti delle archistar e tutti - ma proprio tutti - sacramentano in coro che qualche panchina in più sarebbe stata utile assai per rendere meno estenuante questa maratona globale, i gourmet si aggirano bramosi tra i ristoranti e i locali dei vari paesi. Perché l’Expo è grande. E i menu sono i suoi profeti.
Una premessa è però d’obbligo: nella grande spianata alle porte di Milano tutto è enorme. Anche i prezzi. Quindi chi voglia concedersi il (costoso) piacere di una degustazione planetaria lo metta in conto. E passi prima al bancomat. Per carità, non ogni cosa commestibile ha prezzi da locale stellato. Ma in genere gli espositori hanno interpretato a modo proprio il tema “Nutrire il pianeta”: la parola gratis non esiste. E il low cost lasciamolo alle compagnie aeree.
In totale dovrebbero essere centocinquanta nel complesso i ristoranti, bar, chioschi e punti di ristoro sparsi tra cardo e decumano. Alcuni sono semplici gabbiotti dove comprare una bottiglietta d’acqua (tra un euro e mezzo e due euro) o un caffè (anche un euro e venti) ma ci sono anche veri e propri locali con menù a la carte e affollati dalle veroniche di una legione di camerieri poliglotti. Posti giusti dove titillare la vostra gola.
Argentina
Il ristorante del padiglione argentino è dedicato a quelli che sono i numi tutelari della cucina della pampa: la carne e la griglia. Lo spazio per gli assaggi è attrezzato con non troppi tavoli e sedie ed è aperto dal mattino, a partire dalle 10.30, fino alla chiusura dei padiglioni. La scelta varia dai sandwich farciti con la carne e accompagnati dalla salsa criolla (dai 5 agli 8 euro) a veri e propri trionfi di proteine per placare i carnivori: per una parillada mixta con papas y verduras (ovvero un grigliatone assortito con patate e vegetali) si pagano 15 euro mentre per un lomo a la parilla (ovvero un filetto) ce la si può cavare con 12 euro. In abbinamento, come è ovvio, vino argentino e lo spettacolo dei cuochi che si affannano intorno alla brace. La zona cucina è infatti a vista e una telecamera proietta le immagini sulla parete. Uno spettacolo perfetto per un serial griller.
Kazakistan
Alzi la mano chi è in grado di pontificare senza esitazioni su quali sono i piatti tipici di questo paese asiatico. Ecco allora l’occasione per scoprirlo: il Kazakistan, che per molti visitatori dell’Expo è più che altro quello dove restare ipnotizzati dalle ininterrotte esibizioni di volenterosi cantanti dai lineamenti mongolici, offre anche sul fianco della struttura un ampio spazio al coperto con arredi che ricordano le tende nella steppa. In tavola poi il piatto più amato ad Astana: il cavallo. Preparato in molti modi. Ci sono le insalate a base di carne di equino (dagli 8 ai 10 euro) al filetto grigliato (dai 18 ai 20 euro) ma pare che si imperdibile la cosiddetta zuppa dei nomadi a base di manzo, cipolle, fagiolini e una specie di pasta locale (11 euro). Per chi non ami il genere ci sono però anche agnello e manzo. Forse questo è il vero sapore della via della Seta. Il ristorante è aperto dalle 12 alle 21.30.
Belgio
Si dice Belgio e si pensa a birra e cioccolato. E in effetti anche ad Expo 2015 questi due vanti del piatto paese si possono scoprire in molti modi. Nell’ampio padiglione – dove all’inizio rilucono gioielli e diamanti da mille e una notte dedicati però tutti al cibo – c’è uno spazio dove degustare una delle mille birre fiamminghe e vallone. Le tipologie disponibili sono cinquanta con una rotazione di dieci diverse cervogie al giorno. L’ebrezza è garantita. Ma forse è meglio bere a stomaco pieno: ecco allora due opzioni possibili. Da una parte una zona per stuzzichini e finger food aperta dalle 12 alle 21.30 dove assaggiare un pizzo di Bruges (un tipo di biscotto aromatizzato) o un croque-monsieur, ovvero un sandwich gratinato. Dall’altra il ristorante vero e proprio (orari 12-15 e 19.21.30) dove viene messo in tavola, e la mise en place è elegante, il tradizionale spezzatino fiammingo (che costa 20 euro) o il waterzooi, lo stufato delle Fiandre (che arriva a 26 euro). Il top? Ovvio, è la sogliola di Ostenda con gamberi grigi e cozze. Costa 36 euro: ma vuoi mettere assaporare il gusto del mare del Nord stando seduti a Rho-Pero?
Corea del sud
In Corea si fa la coda. S’intende per mangiare. Il ristorante, ampio, bianco e dall’atmosfera minimal, è molto apprezzato. E spessissimo anche la coda è inutile perché dopo una lunga attesa il personale si inchina e da la brutta notizia: “La cucina è chiusa. Abbiamo finito le scorte”. Per chi riesca comunque ad entrare – l’orario va dalle 10 alle 22- l’offerta è ampia. Ci sono alcuni menu degustazione (22 euro) che permettono di assaggiare una serie di portate e piatti alla carta: imperdibile il Dakgangjeong (20 euro) un pollo fritto aromatizzato con un sugo dolce e i Japachae, i noodles di vetro che risalgono al 17esimo secolo. La cucina è gestita da un famoso locale coreano, Bibigo, che non ha sedi in Italia: la più vicina a noi è a Londra. Forse per questo tutti si mettono in fila.
Cile
Anche il Cile vuole dire la sua. E se il paese sudamericano è più celebrato per i vini che per i cibi ad Expo prova a farsi conoscere. Il ristorante al coperto (con orario continuato e servizio self service) con suggestivi e ciclopici tavoloni in legno, propone piatti veloci che miscelano i sapori di una nazione dove le influenze dei tanti emigranti si sono fuse: ecco allora la tartara di carne cruda (omaggio agli espatriati tedeschi) a 12 euro o il tortino di mais a 10 euro frutto della tradizione indigena o la zuppa di mais con zucca. Per la serie: esotico ma non troppo. Buona la scelta di vini al bicchiere a 4/5 euro.
Indonesia
L’arcipelago dell’Estremo Oriente sa di non essere una potenza gastronomica come alcuni vicini più blasonati: e tenta allora di farsi notare. Nel padiglione propone più che un vero ristorante una zona dove assaggiare alcuni menu degustazione che sono stati curati da un ristorante indonesiano con sede ad Amsterdam: “E’ praticamente impossibile trovare le materie prime originali in Italia”, è la giustificazione dei cortesi addetti – che parlano però solo inglese. Sulla lavagna che funge da menu delle proposte degustazione a 20 euro, composte da riso, pollo alla balinese con salsa, pesce marinato e fagiolini, e qualche assaggio alla carta. Attenzione: a volte alcuni piatti, soprattutto nel pomeriggio, sono terminati.
Grande è la confusione sotto il sole dell’Expo; quindi la situazione è eccellente. Almeno per golosi e food lovers di ogni dove.
Così mentre la stampa si accalora sui ritardi nella costruzione dei padiglioni, mentre i tecnici filosofeggiano sui progetti delle archistar e tutti - ma proprio tutti - sacramentano in coro che qualche panchina in più sarebbe stata utile assai per rendere meno estenuante questa maratona globale, i gourmet si aggirano bramosi tra i ristoranti e i locali dei vari paesi. Perché l’Expo è grande. E i menu sono i suoi profeti.
Una premessa è però d’obbligo: nella grande spianata alle porte di Milano tutto è enorme. Anche i prezzi. Quindi chi voglia concedersi il (costoso) piacere di una degustazione planetaria lo metta in conto. E passi prima al bancomat. Per carità, non ogni cosa commestibile ha prezzi da locale stellato. Ma in genere gli espositori hanno interpretato a modo proprio il tema “Nutrire il pianeta”: la parola gratis non esiste. E il low cost lasciamolo alle compagnie aeree.
In totale dovrebbero essere centocinquanta nel complesso i ristoranti, bar, chioschi e punti di ristoro sparsi tra cardo e decumano. Alcuni sono semplici gabbiotti dove comprare una bottiglietta d’acqua (tra un euro e mezzo e due euro) o un caffè (anche un euro e venti) ma ci sono anche veri e propri locali con menù a la carte e affollati dalle veroniche di una legione di camerieri poliglotti. Posti giusti dove titillare la vostra gola.
Argentina
Il ristorante del padiglione argentino è dedicato a quelli che sono i numi tutelari della cucina della pampa: la carne e la griglia. Lo spazio per gli assaggi è attrezzato con non troppi tavoli e sedie ed è aperto dal mattino, a partire dalle 10.30, fino alla chiusura dei padiglioni. La scelta varia dai sandwich farciti con la carne e accompagnati dalla salsa criolla (dai 5 agli 8 euro) a veri e propri trionfi di proteine per placare i carnivori: per una parillada mixta con papas y verduras (ovvero un grigliatone assortito con patate e vegetali) si pagano 15 euro mentre per un lomo a la parilla (ovvero un filetto) ce la si può cavare con 12 euro. In abbinamento, come è ovvio, vino argentino e lo spettacolo dei cuochi che si affannano intorno alla brace. La zona cucina è infatti a vista e una telecamera proietta le immagini sulla parete. Uno spettacolo perfetto per un serial griller.
Kazakistan
Alzi la mano chi è in grado di pontificare senza esitazioni su quali sono i piatti tipici di questo paese asiatico. Ecco allora l’occasione per scoprirlo: il Kazakistan, che per molti visitatori dell’Expo è più che altro quello dove restare ipnotizzati dalle ininterrotte esibizioni di volenterosi cantanti dai lineamenti mongolici, offre anche sul fianco della struttura un ampio spazio al coperto con arredi che ricordano le tende nella steppa. In tavola poi il piatto più amato ad Astana: il cavallo. Preparato in molti modi. Ci sono le insalate a base di carne di equino (dagli 8 ai 10 euro) al filetto grigliato (dai 18 ai 20 euro) ma pare che si imperdibile la cosiddetta zuppa dei nomadi a base di manzo, cipolle, fagiolini e una specie di pasta locale (11 euro). Per chi non ami il genere ci sono però anche agnello e manzo. Forse questo è il vero sapore della via della Seta. Il ristorante è aperto dalle 12 alle 21.30.
Belgio
Si dice Belgio e si pensa a birra e cioccolato. E in effetti anche ad Expo 2015 questi due vanti del piatto paese si possono scoprire in molti modi. Nell’ampio padiglione – dove all’inizio rilucono gioielli e diamanti da mille e una notte dedicati però tutti al cibo – c’è uno spazio dove degustare una delle mille birre fiamminghe e vallone. Le tipologie disponibili sono cinquanta con una rotazione di dieci diverse cervogie al giorno. L’ebrezza è garantita. Ma forse è meglio bere a stomaco pieno: ecco allora due opzioni possibili. Da una parte una zona per stuzzichini e finger food aperta dalle 12 alle 21.30 dove assaggiare un pizzo di Bruges (un tipo di biscotto aromatizzato) o un croque-monsieur, ovvero un sandwich gratinato. Dall’altra il ristorante vero e proprio (orari 12-15 e 19.21.30) dove viene messo in tavola, e la mise en place è elegante, il tradizionale spezzatino fiammingo (che costa 20 euro) o il waterzooi, lo stufato delle Fiandre (che arriva a 26 euro). Il top? Ovvio, è la sogliola di Ostenda con gamberi grigi e cozze. Costa 36 euro: ma vuoi mettere assaporare il gusto del mare del Nord stando seduti a Rho-Pero?
Corea del sud
In Corea si fa la coda. S’intende per mangiare. Il ristorante, ampio, bianco e dall’atmosfera minimal, è molto apprezzato. E spessissimo anche la coda è inutile perché dopo una lunga attesa il personale si inchina e da la brutta notizia: “La cucina è chiusa. Abbiamo finito le scorte”. Per chi riesca comunque ad entrare – l’orario va dalle 10 alle 22- l’offerta è ampia. Ci sono alcuni menu degustazione (22 euro) che permettono di assaggiare una serie di portate e piatti alla carta: imperdibile il Dakgangjeong (20 euro) un pollo fritto aromatizzato con un sugo dolce e i Japachae, i noodles di vetro che risalgono al 17esimo secolo. La cucina è gestita da un famoso locale coreano, Bibigo, che non ha sedi in Italia: la più vicina a noi è a Londra. Forse per questo tutti si mettono in fila.
Cile
Anche il Cile vuole dire la sua. E se il paese sudamericano è più celebrato per i vini che per i cibi ad Expo prova a farsi conoscere. Il ristorante al coperto (con orario continuato e servizio self service) con suggestivi e ciclopici tavoloni in legno, propone piatti veloci che miscelano i sapori di una nazione dove le influenze dei tanti emigranti si sono fuse: ecco allora la tartara di carne cruda (omaggio agli espatriati tedeschi) a 12 euro o il tortino di mais a 10 euro frutto della tradizione indigena o la zuppa di mais con zucca. Per la serie: esotico ma non troppo. Buona la scelta di vini al bicchiere a 4/5 euro.
Indonesia
L’arcipelago dell’Estremo Oriente sa di non essere una potenza gastronomica come alcuni vicini più blasonati: e tenta allora di farsi notare. Nel padiglione propone più che un vero ristorante una zona dove assaggiare alcuni menu degustazione che sono stati curati da un ristorante indonesiano con sede ad Amsterdam: “E’ praticamente impossibile trovare le materie prime originali in Italia”, è la giustificazione dei cortesi addetti – che parlano però solo inglese. Sulla lavagna che funge da menu delle proposte degustazione a 20 euro, composte da riso, pollo alla balinese con salsa, pesce marinato e fagiolini, e qualche assaggio alla carta. Attenzione: a volte alcuni piatti, soprattutto nel pomeriggio, sono terminati.
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Spagna
Il padiglione spagnolo è una scelta obbligata per chi non cerca esotismo ma sapori ben noti. In fondo chi non ha mai assaggiato la paella e il pulpo a a la gallega? E allora li cerca pure ad Expo. Anche in questo caso la scelta per i visitatori è doppia: al piano alto del padiglione un ristorante con servizio più curato, a piano terra un locale vagamente più informale. Ampia la scelta di tapas nello spazio al piano terra che offre anche uno spazio accogliente all’esterno: per chi punta al top c’è lo jamon iberico de bellota (a 35 euro) ma anche assaggi di pintxos (ovvero crostini: cinque a 18 euro) e paella (vari tipi a rotazione) a 16 euro. Nel ristorante invece crescono i prezzi e si raffina la proposta: la rana pescatrice con gamberi rossi alla salsa romesco costa 30 euro e il maialino croccante con salsa 28. Saranno i sapori o la simpatia degli spagnoli? Non si sa, ma i locali sono sempre pieni. E i volenterosi camerieri corrono senza sosta.
Marocco
Il padiglione del Marocco merita la visita per la sua intelligente progettazione. E perché è bello scoprire cosa si provi a vivere nel deserto. Peccato che invece per l’aspetto culinario si sia scelta soltanto la via di una proposta take away: e non si può assaggiare il couscous. In compenso al termine della visita si trova un piccolo spazio dove acquistare alcuni piatti da mangiare poi all’esterno. Sicuramente da provare il tajine che costa 10 euro. Meno cari i dolci sempre da asporto e anche una piccola scelta di spezie e prodotti tradizionali.
Malesia
Mangiare come Sandokan? Una bella scommessa che, in parte si realizza a Expo. La Malesia non ha attrezzato un vero ristorante ma un corner dove si possono acquistare dei piatti preparati nel nostro paese da un cuoco malese e poi trasportati nel padiglione. Per assaggiare però occorre poi cercarsi uno spazio dove sedere perché l’angolo ristoro non ha tavoli. In menù i classici della cucina di Kuala Lumpur, quindi particolarmente speziata ma non piccantissima. In primo piano i tradizionali satay, spiedini di carne cotti alla brace e serviti con una salsa aromatica (10 euro) e il roti canai, regalo della cucina indiana a quella malese. Sotto le Petronas Towers è il più classico street food -sotto forma di una sorta di focaccia ripiena- e ad Expo costa 8 euro. Anche qui spesso le scorte finiscono presto. Il personale allarga le braccia: la Malesia è lontana e il pubblico curioso.
Slow food
Tra tanti padiglioni stranieri un assaggio di Italia. E’ firmato Slow Food che propone, all’estremità del lunghissimo decumano – per chi arriva con il treno significa almeno un km e settecento metri di sgambata solo andata – un viaggio tra i formaggi. La proposta è semplice: formaggi, vino e gallette di mais. Ogni settimana a rotazione verranno proposte quattro tipologie di assaggi: un grande formaggio italiano, due formaggi di territorio dai Presidi e un prodotto europeo. Insieme gallette di mail e un calice di vino. In tutto i formaggi a rotazione saranno 84, i vini 200 e il prezzo 8 euro per il formaggio e 10 con l’accompagnamento del vino. Un dettaglio: se l’iniziativa produrrà degli utili andranno in beneficienza per i progetti in Africa.
Angola
Non è certo una delle nazioni celebri per le sue eccellenze nel food: eppure l’Angola in questo Expo ci mette parecchio impegno. A partire dal panorama che si gode dal piano alto del padiglione dove si trova l’area ristorante. Le proposte, ovviamente, sono abbastanza curiose. Soprattutto perché non sono quelle che ti aspetti da un paese nel cuore dell’Africa nera: le gallette di patate e salmone paiono davvero poco africane (8 euro) così come il cartoccio di pesce spada angolano (14 euro). Ma forse siamo noi che non siamo preparati a capire. In compenso il sapore dei piatti non è per nulla malvagio.
Iran
La signora alla cassa del ristorante iraniano, nel piano basso del padiglione ispirato ad una leggera tenda mediorientale, indossa il foulard di ordinanza e non parla italiano: ma il menù è a prova di fraintendimento visto che di ogni piatto c’è il nome e la foto. La carta prevede zuppe, insalate e piatti a base di riso. Il Zereshk Polo ba Morgh (ovvero un riso con spezie, mandorle e pollo) costa 16 euro e per un Kebob Barg (vitello aromatizzato) si devono spendere 20 euro. La cucina (si fa per dire: i piatti qui sono solo scaldati e preparati altrove) è aperta durante tutto l’orario dell’esposizione. Ovviamente in questo spazio non fate la gaffe di chiedere bevande alcoliche. E piuttosto bevete un thè al cinnamomo.
Giappone
Del ristorante giapponese a Expo si è parlato molto. Ma l’argomento non erano i sapori. Bensì i prezzi. In effetti nel padiglione, molto grande e da visitare con un lungo percorso guidato, si può mangiare anche senza svenarsi. Al primo piano infatti, nella parte più esterna, si trova la “corte della ristorazione” in cui in quattro locali, sempre aperti durante il giorno dalle 11 alle 21.30 con sistema self service, si possono assaggiare prevedibili sushi e tempura a prezzi assolutamente normali insieme a piatti meno noti come il manzo giapponese Wagyu cotto in zuppa di salsa di soya dolce con verdure e funghi o fettine di manzo grigliate con salsa Teriyaki tra gallette di riso. Ma il top è all’interno dove si trova il Minokichi (www.minokichi.co.jp), un ristorante fondato a Kyoto nel 1716 e che ha fatto del rispetto della tradizione una bandiera. Si mangia solo dalle 11 alle 16 e dalle 18.30 alle 21.30, i posti sono una ventina e la prenotazione al numero 02 56720151 è d’obbligo. Pensateci per tempo: le liste di attesa sono di giorni. I menu disponibili poi sono quattro: il lunch Kaiseki costa 80 euro il top Special kaiseki 220 euro a testa, bevande escluse. Le portate sono nove, l’esperienza garantita autentica.
Identità golose
E infine le stelle. All’interno di Expo trova posto anche un ristorante che punta a unire i più celebri chef del mondo chiamati a preparare pranzi e cene dedicati alle eccellenze culinarie. In calendario è disponibile in rete (www.identitagolose.it/sito/it/182/presentazione.html ) e i nomi sono da batticuore se si pensa che ad aprire la serie arriva Massimo Bottura , tre stelle Michelin e patron della mitica Osteria la Francescana di Modena, per il secondo anno al terzo posto nella classifica dei migliori ristoranti al mondo. A seguire tra gli altri, Emanuele Scarello, Moreno Cedroni, Davide Oldani, Norbert Niederkofler. Per partecipare ai pranzi e alle cene si deve prenotare via mail a expo@magentabureau.it. Il costo è di 75 euro a testa vini compresi.
Infine ci sono sparsi qua e là degli spazi per spuntini al volo: la boulangerie della Francia propone “sandwich jambon et fromage” a 5 euro, lo spazio di Rossopomodoro all’interno dell’area di Eatily una margherita a 7 euro e mezzo mentre Dispensa Emilia offre una degustazione di cinque tigelle variamente farcite a 9 euro. Qualcuno ricorda che all’interno di Expo si trova anche un Mcdonalds. Perdonateci: ma per il nostro giro del mondo in ottanta assaggi dei panini di Uncle Mac possiamo davvero, almeno per una volta, fare a meno.
Leggete anche: cosa vedere all'Expo in un giorno
Il padiglione spagnolo è una scelta obbligata per chi non cerca esotismo ma sapori ben noti. In fondo chi non ha mai assaggiato la paella e il pulpo a a la gallega? E allora li cerca pure ad Expo. Anche in questo caso la scelta per i visitatori è doppia: al piano alto del padiglione un ristorante con servizio più curato, a piano terra un locale vagamente più informale. Ampia la scelta di tapas nello spazio al piano terra che offre anche uno spazio accogliente all’esterno: per chi punta al top c’è lo jamon iberico de bellota (a 35 euro) ma anche assaggi di pintxos (ovvero crostini: cinque a 18 euro) e paella (vari tipi a rotazione) a 16 euro. Nel ristorante invece crescono i prezzi e si raffina la proposta: la rana pescatrice con gamberi rossi alla salsa romesco costa 30 euro e il maialino croccante con salsa 28. Saranno i sapori o la simpatia degli spagnoli? Non si sa, ma i locali sono sempre pieni. E i volenterosi camerieri corrono senza sosta.
Marocco
Il padiglione del Marocco merita la visita per la sua intelligente progettazione. E perché è bello scoprire cosa si provi a vivere nel deserto. Peccato che invece per l’aspetto culinario si sia scelta soltanto la via di una proposta take away: e non si può assaggiare il couscous. In compenso al termine della visita si trova un piccolo spazio dove acquistare alcuni piatti da mangiare poi all’esterno. Sicuramente da provare il tajine che costa 10 euro. Meno cari i dolci sempre da asporto e anche una piccola scelta di spezie e prodotti tradizionali.
Malesia
Mangiare come Sandokan? Una bella scommessa che, in parte si realizza a Expo. La Malesia non ha attrezzato un vero ristorante ma un corner dove si possono acquistare dei piatti preparati nel nostro paese da un cuoco malese e poi trasportati nel padiglione. Per assaggiare però occorre poi cercarsi uno spazio dove sedere perché l’angolo ristoro non ha tavoli. In menù i classici della cucina di Kuala Lumpur, quindi particolarmente speziata ma non piccantissima. In primo piano i tradizionali satay, spiedini di carne cotti alla brace e serviti con una salsa aromatica (10 euro) e il roti canai, regalo della cucina indiana a quella malese. Sotto le Petronas Towers è il più classico street food -sotto forma di una sorta di focaccia ripiena- e ad Expo costa 8 euro. Anche qui spesso le scorte finiscono presto. Il personale allarga le braccia: la Malesia è lontana e il pubblico curioso.
Slow food
Tra tanti padiglioni stranieri un assaggio di Italia. E’ firmato Slow Food che propone, all’estremità del lunghissimo decumano – per chi arriva con il treno significa almeno un km e settecento metri di sgambata solo andata – un viaggio tra i formaggi. La proposta è semplice: formaggi, vino e gallette di mais. Ogni settimana a rotazione verranno proposte quattro tipologie di assaggi: un grande formaggio italiano, due formaggi di territorio dai Presidi e un prodotto europeo. Insieme gallette di mail e un calice di vino. In tutto i formaggi a rotazione saranno 84, i vini 200 e il prezzo 8 euro per il formaggio e 10 con l’accompagnamento del vino. Un dettaglio: se l’iniziativa produrrà degli utili andranno in beneficienza per i progetti in Africa.
Angola
Non è certo una delle nazioni celebri per le sue eccellenze nel food: eppure l’Angola in questo Expo ci mette parecchio impegno. A partire dal panorama che si gode dal piano alto del padiglione dove si trova l’area ristorante. Le proposte, ovviamente, sono abbastanza curiose. Soprattutto perché non sono quelle che ti aspetti da un paese nel cuore dell’Africa nera: le gallette di patate e salmone paiono davvero poco africane (8 euro) così come il cartoccio di pesce spada angolano (14 euro). Ma forse siamo noi che non siamo preparati a capire. In compenso il sapore dei piatti non è per nulla malvagio.
Iran
La signora alla cassa del ristorante iraniano, nel piano basso del padiglione ispirato ad una leggera tenda mediorientale, indossa il foulard di ordinanza e non parla italiano: ma il menù è a prova di fraintendimento visto che di ogni piatto c’è il nome e la foto. La carta prevede zuppe, insalate e piatti a base di riso. Il Zereshk Polo ba Morgh (ovvero un riso con spezie, mandorle e pollo) costa 16 euro e per un Kebob Barg (vitello aromatizzato) si devono spendere 20 euro. La cucina (si fa per dire: i piatti qui sono solo scaldati e preparati altrove) è aperta durante tutto l’orario dell’esposizione. Ovviamente in questo spazio non fate la gaffe di chiedere bevande alcoliche. E piuttosto bevete un thè al cinnamomo.
Giappone
Del ristorante giapponese a Expo si è parlato molto. Ma l’argomento non erano i sapori. Bensì i prezzi. In effetti nel padiglione, molto grande e da visitare con un lungo percorso guidato, si può mangiare anche senza svenarsi. Al primo piano infatti, nella parte più esterna, si trova la “corte della ristorazione” in cui in quattro locali, sempre aperti durante il giorno dalle 11 alle 21.30 con sistema self service, si possono assaggiare prevedibili sushi e tempura a prezzi assolutamente normali insieme a piatti meno noti come il manzo giapponese Wagyu cotto in zuppa di salsa di soya dolce con verdure e funghi o fettine di manzo grigliate con salsa Teriyaki tra gallette di riso. Ma il top è all’interno dove si trova il Minokichi (www.minokichi.co.jp), un ristorante fondato a Kyoto nel 1716 e che ha fatto del rispetto della tradizione una bandiera. Si mangia solo dalle 11 alle 16 e dalle 18.30 alle 21.30, i posti sono una ventina e la prenotazione al numero 02 56720151 è d’obbligo. Pensateci per tempo: le liste di attesa sono di giorni. I menu disponibili poi sono quattro: il lunch Kaiseki costa 80 euro il top Special kaiseki 220 euro a testa, bevande escluse. Le portate sono nove, l’esperienza garantita autentica.
Identità golose
E infine le stelle. All’interno di Expo trova posto anche un ristorante che punta a unire i più celebri chef del mondo chiamati a preparare pranzi e cene dedicati alle eccellenze culinarie. In calendario è disponibile in rete (www.identitagolose.it/sito/it/182/presentazione.html ) e i nomi sono da batticuore se si pensa che ad aprire la serie arriva Massimo Bottura , tre stelle Michelin e patron della mitica Osteria la Francescana di Modena, per il secondo anno al terzo posto nella classifica dei migliori ristoranti al mondo. A seguire tra gli altri, Emanuele Scarello, Moreno Cedroni, Davide Oldani, Norbert Niederkofler. Per partecipare ai pranzi e alle cene si deve prenotare via mail a expo@magentabureau.it. Il costo è di 75 euro a testa vini compresi.
Infine ci sono sparsi qua e là degli spazi per spuntini al volo: la boulangerie della Francia propone “sandwich jambon et fromage” a 5 euro, lo spazio di Rossopomodoro all’interno dell’area di Eatily una margherita a 7 euro e mezzo mentre Dispensa Emilia offre una degustazione di cinque tigelle variamente farcite a 9 euro. Qualcuno ricorda che all’interno di Expo si trova anche un Mcdonalds. Perdonateci: ma per il nostro giro del mondo in ottanta assaggi dei panini di Uncle Mac possiamo davvero, almeno per una volta, fare a meno.
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