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La storia di Roma raccontata dai libri di pietra: i suoi edifici

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Che a Roma tutto o quasi sia possibile non è difficile da credere: ogni angolo della città regala qualcosa di diverso e inaspettato ogni giorno, anche se in quel posto, lungo quella via ci siamo già passati cento volte!

L’itinerario fuori dagli schemi e dalle solite attrazioni che vi proponiamo questa volta vuole proprio accompagnarvi lungo strade forse percorse già molte volte, ma per scoprirle da un punto di vista del tutto diverso. Infatti, nel cuore della Capitale, si celano edifici straordinari che portano impresso nella loro facciata un mito, una leggenda o un racconto antico, di secoli e secoli.

Incisioni, stucchi, statue e affreschi decorano in modo unico palazzi e chiese romane, sebbene a volte in maniera piuttosto sbiadita, lasciando solo intravedere l’antico splendore che li adornava. Siamo di fronte così a grandi “libri di pietra”, che illustrano in un gioco di immagini e simboli, la storia degli abitanti di una volta.

Il percorso proposto inizia da piazza Capodiferro, a pochi passi da Campo de’ Fiori, un angolo di Roma dominato dalla maestosa facciata di Palazzo Spada, noto soprattutto perché all’interno custodisce l’illusionistica galleria prospettica del Borromini. La sua facciata però ha qualcosa da dire ancora oggi: ritroviamo infatti, scolpite nel bianco stucco, le statue di otto uomini illustri dell’antica Roma, tra cui Romolo, Cesare e Augusto, modelli immancabili di onore e virtù per i nobili del Rinascimento, che si ispiravano alla perfezione di un’epoca d’oro ormai perduta. A coronamento della facciata troviamo decorazioni raffiguranti cariatidi e candelabri che sorreggono ricchi festoni, gli stemmi della famiglie Spada e Capodiferro, primi proprietari del palazzo con la scritta latina “Utroque Tempore” cioè “In ogni tempo”, fedeltà alla Chiesa Cattolica aggiungeremmo noi.

Proseguendo oltre si giunge in via di Monserrato dove tra la linea continua dei grandi palazzi si erge la Chiesa Nazionale degli Spagnoli, dedicata a Santa Maria di Monserrato appunto. Ammirando la facciata si nota, però, una particolarità: il classico gruppo scultoreo dove un Gesù bambino siede in braccio alla Madonna che con una sega da falegname è intenta a tagliare una roccia. In realtà il mistero è presto svelato: infatti la parola spagnola Monserrato significa “monte segato” ed è il nome di uno dei santuari più venerati nella penisola iberica. Da questo gioco di parole, nasce quindi la curiosa facciata di questa chiesa, dentro la quale si trova anche la tomba del temibile papa Borgia!

Proseguendo per alcuni metri, si incontra un piccolo slargo, piazza Ricci, dal nome di una ricca famiglia che qui aveva la propria imponente dimora. Ed è proprio la facciata di Palazzo Ricci che dobbiamo fermarci ad ammirare: si possono infatti ancora notare, sebbene molto danneggiati dal tempo, i resti di un esteso apparato decorativo realizzato con la tecnica dell’affresco da artisti quali Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze. Tra le scene principali si possono notare le storie legate alle vicende di Muzio Scevola e la famosa mano sul fuoco! Queste pitture ci fanno capire immediatamente che realizzare tali opere non era affatto semplice, ma anzi si doveva avere una maestria fuori dal comune! Queste decorazioni richiedevano inventiva, padronanza della prospettiva e, soprattutto, grande destrezza, perché non solo la pittura doveva essere finita prima che l’intonaco fresco asciugasse, ma le dimensioni della parete richiedevano una grande abilità nelle proporzioni!

Proseguendo su via dei Banchi Vecchi, si incontra quasi per magia la cosiddetta Casa dei Pupazzi, cioè il palazzetto fatto costruire in maniera assolutamente originale dal milanese Pietro Crivelli, noto orafo del Cinquecento, che forse immaginava la propria dimora come un grande gioiello! Ogni centimetro della facciata presenta una decorazione di ghirlande, candelabri, scudi, putti, satiri e in alto due bassorilievi raccontano alcune vicende storiche accadute proprio in quegli anni: nel primo si vede l’imperatore Carlo V che bacia il piede a papa Paolo III Farnese, mentre il secondo raffigura il pontefice che riconcilia Carlo V e Francesco I a Nizza.

All’incrocio tra via dei Banchi Vecchi e via del Pellegrino possiamo invece notare, in un angolo un po’ nascosto, una targa risalente addirittura al I secolo d.C. e in particolare redatta sotto il regno dell’imperatore Claudio. Si tratta di una stele che in epoca romana delimitava il pomerio della città, cioè una linea immaginaria che delimitava i confini sacri della città: tutto ciò che era dentro il pomerio poteva essere considerato “Roma”, ciò che rimaneva fuori era “altro”.

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Attraversando Corso Vittorio Emanuele II, si giunge in via della Fossa dove ci attende, un po’ mal ridotto purtroppo, Palazzo Amedei, decorato interamente da graffiti che ripropongono finte bugne, motivi di girali, conchiglie, vasi, grifi, putti alati e tra le finestre due affreschi con scene sacre e scritte.

Poco oltre si giunge in piazza San Simeone, nei pressi di Via dei Coronari, dove troneggia Palazzo Lancellotti, costruito dal cardinale Scipione su progetto di Francesco Capriani da Volterra, terminato dal Maderno ed arricchito con un maestoso portale dal Domenichino. Molto simpatico è l’aneddoto legato a due curiose scritte, incise in rosso proprio sulle colonne del portone d’accesso: “VVE” e cioè Viva Vittorio Emanuele. Sembra infatti che la famiglia Lancellotti, molto vicina al papa, non prese molto bene l’annessione di Roma al Regno d’Italia nel 1870 e per protesta decise di serrare per sempre l’ingresso (che fu riaperto ai Patti Lateranensi!) e qualche “burlone” di turno, per canzonarli, decise di incidere queste patriottiche iniziali, ancora oggi ben visibili.

Il nostro itinerario si conclude dietro questa piazza, in via della Maschera d’Oro dove si trovano affiancati due palazzi assai decorati: il primo apparteneva alla famiglia Milesi che agli inizi del Cinquecento lo fece affrescare in maniera mirabile da Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze con scene legate alla mitologia greca, come la Storia di Niobe, a personaggi storici, tra cui Catone Uticense e a leggende romane come il Ratto delle Sabine e le Leggi di Numa Pompilio. Il secondo, invece, presenta incisioni in monocromo praticate sull'intonaco, realizzate da Jacopo Ripanda sempre nel Cinquecento raffiguranti eroti ed elementi vegetali, figure femminili con recipienti ricolmi di frutta e cornucopie, figure fantastiche tratte dal mondo marino e draghi, oltre ad episodi ispirati alla vita di Roma.

Di palazzi che “parlano” a Roma ce ne sono molti altri, sempre un po’ nascosti nel caos cittadino, quasi come volessero raccontare la loro straordinaria storia solo ai passanti più attenti e curiosi che non hanno paura di camminare con il naso all’insù!

Per maggiori informazioni:
"L'Asino d'Oro" Associazione Culturale
Web: www.lasinodoro.it
E-mail: info@lasinodoro.it
Skype: L'Asino d'Oro
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