Pagazzano (Lombardia): il castello e la cittą della bassa bergamasca
Pagazzano, guida alla visita: cosa fare e cosa vedere tra le sue attrazioni. Pagazzano dove si trova? Cosa visitare nei dintorni, come arrivare e il meteo.
Etimologicamente attribuibile con tutta probabilità al nome di un proprietario romano, Pacatius, la piccola Pagazzano non si è mai discostata in quel della provincia di Bergamo da un marcato temperamento agricolo che pervade tuttora una buona parte dei suoi 2.100 abitanti, i restanti dei quali hanno invece trovato utile impiego tra le fila industriali.
Come tutti i borghi relativamente poco influenti a livello strategico, anch’esso ha subito gli avvenimenti storici culminanti nel Medioevo con la contesa – destinata a perdurare per secoli – fra le potenti famiglie dei Visconti e degli Sforza, così controversa e reiterata nel tempo da necessitare la costruzione del cosiddetto “fosso bergamasco”, un tracciato lungo oltre 35 chilometri e largo 5 metri, divenuto a distanza di molti anni un canale artificiale in grado di fungere da collegamento fra il fiume Adda e il Serio fino all’Oglio.
Non ci volle molto affinché Pagazzano passasse dalla padella alla brace, consegnata in virtù del trattato di Cateau-Cambrésis del 1559 agli Spagnoli, la cui dominazione sregolata e caotica causò svilimento e regressione. Si attese dunque il 1700, quando subentrarono gli Austriaci, i quali riuscirono a sovvertire l’amaro destino del borgo portandolo a prosperare economicamente e demograficamente, salvo la breve parentesi napoleonica, da dimenticare.
Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, Pagazzano si mostra sostanzialmente corroborato ma incanalato in un’ottica tipicamente agricola, votata al culto dei campi.
Cos’è allora Pagazzano oggi? Ebbene, questi è un paese che cura il proprio hinterland fatto di aree recettive alla semina ma altresì coccola il proprio centro storico dove gli arcaici elementi medievali si sono fusi a un impianto moderno soggetto a fondamentale riqualificazione, tale da porre sul piedistallo della valorizzazione alcuni edifici da preservare a ogni costo, a cominciare dal castello, la struttura di maggior rilievo.
Il maniero risale al XIV secolo e la sua sussistenza a scopo difensivo è il frutto degli effetti turbolenti che il Medioevo ha imposto un po’ ovunque, senza grosse eccezioni. Di fattura viscontea, abbraccia una tradizione che vanta una breve permanenza del poeta Francesco Petrarca in una delle sue enormi stanze. Si tratta di un edificio con pianta a sezione quadrata, delimitata da una cinta muraria perfettamente conservata e un fossato adacquato. Spiccano le torri a due dei quattro angoli e, ovviamente, il mastio, con tanto di beccatelli, saracinesca, argano e ponte levatoio: l’aspetto esterno non riflette la riorganizzazione interna preposta ad adattare i locali a villa padronale decorata con affreschi cinquecenteschi.
Alla storia del castello si lega la chiesa dei Santi Nazario e Celso, donata nel 1219 da Papa Onorio III al vescovo di Pavia, tenutario dell’edificio per seicento anni. Senza infamia e senza lode sotto l’aspetto estetico, la chiesa beneficia dal 1877 al 1890 di un restyling dal quale sorsero un agile campanile in cotto, un presbiterio, un coro, due navate laterali e pilastri a lesene ioniche. Sopperiscono alla scarsa presenza di opere pittoriche sculture di un certo pregio come la coppia di angeli in legno dorato e policromo, il Cristo morto e un crocifisso ligneo, questi ultimi scolpiti da Giovanni Maria De Dei di Gromo San Martino nel 1893, più un organo di Natale Balbiani.
L’altra chiesa degna di nota, sebbene meno blasonata, è quella settecentesca di San Francesco, dove vengono festeggiati i Santi Francesco Saverio e San Lucio. Costruzione recente è l’Oratorio, fortemente voluto dalla popolazione e la cui prima pietra è stata posata dal vescovo Giulio Oggioni nel 1990.
La vita paesana sussulta nella seconda settimana di settembre, entro cui si festeggia la Sagra della Madonna del Rosario (preceduta sette giorni prima da mercatini di solidarietà), che prevede una celebrazione religiosa e la processione per le stradine del borgo, seguite da banchetti che annoverano le tipicità locali tutte da gustare, come i casoncelli e il succulento stinco di maiale al forno suggellato da una voluttuosa polenta.
Come tutti i borghi relativamente poco influenti a livello strategico, anch’esso ha subito gli avvenimenti storici culminanti nel Medioevo con la contesa – destinata a perdurare per secoli – fra le potenti famiglie dei Visconti e degli Sforza, così controversa e reiterata nel tempo da necessitare la costruzione del cosiddetto “fosso bergamasco”, un tracciato lungo oltre 35 chilometri e largo 5 metri, divenuto a distanza di molti anni un canale artificiale in grado di fungere da collegamento fra il fiume Adda e il Serio fino all’Oglio.
Non ci volle molto affinché Pagazzano passasse dalla padella alla brace, consegnata in virtù del trattato di Cateau-Cambrésis del 1559 agli Spagnoli, la cui dominazione sregolata e caotica causò svilimento e regressione. Si attese dunque il 1700, quando subentrarono gli Austriaci, i quali riuscirono a sovvertire l’amaro destino del borgo portandolo a prosperare economicamente e demograficamente, salvo la breve parentesi napoleonica, da dimenticare.
Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, Pagazzano si mostra sostanzialmente corroborato ma incanalato in un’ottica tipicamente agricola, votata al culto dei campi.
Cos’è allora Pagazzano oggi? Ebbene, questi è un paese che cura il proprio hinterland fatto di aree recettive alla semina ma altresì coccola il proprio centro storico dove gli arcaici elementi medievali si sono fusi a un impianto moderno soggetto a fondamentale riqualificazione, tale da porre sul piedistallo della valorizzazione alcuni edifici da preservare a ogni costo, a cominciare dal castello, la struttura di maggior rilievo.
Il maniero risale al XIV secolo e la sua sussistenza a scopo difensivo è il frutto degli effetti turbolenti che il Medioevo ha imposto un po’ ovunque, senza grosse eccezioni. Di fattura viscontea, abbraccia una tradizione che vanta una breve permanenza del poeta Francesco Petrarca in una delle sue enormi stanze. Si tratta di un edificio con pianta a sezione quadrata, delimitata da una cinta muraria perfettamente conservata e un fossato adacquato. Spiccano le torri a due dei quattro angoli e, ovviamente, il mastio, con tanto di beccatelli, saracinesca, argano e ponte levatoio: l’aspetto esterno non riflette la riorganizzazione interna preposta ad adattare i locali a villa padronale decorata con affreschi cinquecenteschi.
Alla storia del castello si lega la chiesa dei Santi Nazario e Celso, donata nel 1219 da Papa Onorio III al vescovo di Pavia, tenutario dell’edificio per seicento anni. Senza infamia e senza lode sotto l’aspetto estetico, la chiesa beneficia dal 1877 al 1890 di un restyling dal quale sorsero un agile campanile in cotto, un presbiterio, un coro, due navate laterali e pilastri a lesene ioniche. Sopperiscono alla scarsa presenza di opere pittoriche sculture di un certo pregio come la coppia di angeli in legno dorato e policromo, il Cristo morto e un crocifisso ligneo, questi ultimi scolpiti da Giovanni Maria De Dei di Gromo San Martino nel 1893, più un organo di Natale Balbiani.
L’altra chiesa degna di nota, sebbene meno blasonata, è quella settecentesca di San Francesco, dove vengono festeggiati i Santi Francesco Saverio e San Lucio. Costruzione recente è l’Oratorio, fortemente voluto dalla popolazione e la cui prima pietra è stata posata dal vescovo Giulio Oggioni nel 1990.
La vita paesana sussulta nella seconda settimana di settembre, entro cui si festeggia la Sagra della Madonna del Rosario (preceduta sette giorni prima da mercatini di solidarietà), che prevede una celebrazione religiosa e la processione per le stradine del borgo, seguite da banchetti che annoverano le tipicità locali tutte da gustare, come i casoncelli e il succulento stinco di maiale al forno suggellato da una voluttuosa polenta.
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