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Viaggio in Nuova Caledonia: mai nome fu meno appropriato

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Se ne galleggia alla deriva del Mari del Sud, a due ore di volo ad est di Sydney, è “vicina” di casa, coralli e fondali delle isole Fiji, eppure il suo toponimo dovrebbe ricordare le brume della Scozia e pure il mostro di Lochness. Colpa e abbaglio di James Cook che la scoprì e la battezzò così nel 1774, confondendola forse più con un lembo di tartan che con uno scampolo di paradiso.

Mai nome fu, davvero, più agli “antipodi” e atterrare a Noumea, la capitale di questo Territorio francese d’oltremare, fa capire appieno che cosa significhi il termine. Dall’altro capo del mondo, a due giri completi di orologio dall’Italia, la Nuova Caledonia è, insieme, ciò che ti aspetti dal più esotico dei sogni e ciò che non avresti nemmeno immaginato esistesse. Se non, appunto, nell’altro emisfero della terra.

Un’isola madre, Grande terre, per prendere confidenza con le mille facce di questo universo a se, baciato da un’estate perenne e patrimonio dell’Unesco dal 2008 per i suoi fondali marini e per la sua biodiversità, seconda solo alla, molto più grande, barriera corallina del Queensland australiano.

E poi un poker di isole - divise fra l’arcipelago della Lealtà con Lifou, Maré e Ouvea -, e l’Isola dei Pini, per spingere – in almeno due settimane di tempo - il sogno un po’ più in la.

Chez Nous

Cook equivocò sul nome, ma anche sul potenziale di questa terra. Nello stesso errore non caddero però i francesi che ne hanno fatto, fin dal 1853, il loro Eden più esclusivo anche se non proprio dietro l’angolo. O meglio: Napoleone III vi destinò i galeotti, in alternativa all’ormai affollatissima Cayenna. Per i tempi fu questione di fare di necessità virtù. Mai, però, prigionia fu più dolce su questi lidi anche più autentici della Polinesia più remota o delle Seychelles da cartolina, e ben più vari delle Maldive da all inclusive.

La Nuova Caledonia è oggi, oltre che per una vacanza once in a lifetime, da viaggio di nozze in su, una delle mete più ambite per degli “expat” che da Parigi se ne vanno a caccia di una “vie en rose” nella terza età. Chiamali stupidi: nella capitale Noumea, fra i ristoranti di Anse Citron e lo struscio e le boutique di Anse Vata, cibo, stile di vita, servizi e opportunità sono tutti “ à la parisienne”. Ma appena fuori, la banlieue è un mix fra Costa azzurra e Beverly Hills, fra colline odorose punteggiate di villini, spiagge bianche e lunghi litorali dove fare jogging al tramonto. Altro che hinterland!

Qui, con più facilità che in Italia, ha potuto lavorare perfino un “archistar” come Renzo Piano che ha dedicato una delle sue architetture più aeree e originali ai veri padroni di casa dell’ isola. Non i francesi, ma i Kanak. A loro e al loro complesso “corpus” di tradizioni è dedicato il centro Jean Marie Tjibajou, dal nome del leader del fronte della liberazione nazionale assassinato nel 1989 (www.adck.nc).

Conoscere i Kanak

Visitare il museo sarà il secondo passo necessario per capire i luoghi. Il primo? Lasciarsi alle spalle ogni certezza. Già, perché i Kanak vi spiazzeranno: loro sono sempre stati qui, sono gli indigeni di origine melanesiana che vivono ancora come una volta. In città si mischiano con gli altri, ma fuori da Noumea e, soprattutto sulle isole, è fondamentale dare del tu non solo al loro largo sorriso, ma anche alla loro etichetta. La chiamano coutume ed è un complesso mix di buone maniere, usanze e regole anche solo per darsi il benvenuto, che vi spalancheranno le porte di tutta l’isola.

Giunti fino qui, all’altro capo del mondo, sarebbe, infatti, un peccato “accontentarsi” solo di uno dei mari più belli del mondo, sopra e sotto l’acqua, di uno dei concentrati più rigogliosi della vegetazione tropicale e di una delle cucine più gustose di chi ama mangiare fusion fra suggestioni del Pacifico e reminiscenze gourmand. E allora, dal centro Tjibajou imparerete a non stupirvi se su Grande terre, fuori dai grattacieli del centro, si vive ancora in capanne e tribù, ci si sposta in piroga, e si cucina in un forno scavato sotto terra. Dove carne, pesce e verdure si affumicano con lentezza, innaffiati da latte di cocco e custoditi in “pentole” di foglie di banano intrecciato. La chiamano Bougna e non è folklore . Qui è la vita. E per sedersi a tavola a pranzo si comincia a cucinarla al mattino presto.

C'è posto per tutti

In realtà non dovete immaginare di dover vivere esattamente come i signori di questa isola, perché loro, da sempre, sono ospitali e un posto l’han sempre trovato per tutti. Ecco perché oggi la loro comunità, predominante nelle isole e sulla costa orientale di Grande terre, si è ormai integrata, mantenendo però con tenacia, spazi e tradizioni proprie, insieme agli altri abitanti che i secoli e la storia hanno portato in Nuova Caledonia. Il bello di un viaggio in questo Paese è che si potrà scegliere di vivere un giorno “sbirciando” le antiche tradizioni dei Kanak e quello dopo rituffandosi nella modernità dei fortunati occidentali in vacanza - dall’Italia i numeri parlano di una nicchia di quasi mille visitatori l’anno - alla ricerca o di un paradiso dove svernare, per qualche settimana o per il resto della vita, fra mille sport, escursioni e full immersion in una natura che sa sempre sorprendere

Un Parco mille sport

La Nuova Caledonia va conosciuta per gradi. Così dopo Noumea e la “prima infarinatura” dell’”alfabeto kanak” è meglio cominciare proprio dalla natura, dirigendosi a sud fino a Yaté, porta d’ingresso del Parco della Rivière Bleue (www.province-sud.nc). A meno di due ore da Noumea vi sembrerà di essere sbarcati su Marte, con qualche ritocco di photo shop per aggiungere cascate, queste sì degne delle Highlands scozzesi, e laghi incorniciati da terre più rosse di quelle di un campo da tennis e lagune dove alberi antichissimi si sono pietrificati nel tempo. Una bicicletta, un kayak o buone gambe sono quello che serve per esplorare questo “pianeta”, provando a tener testa ai gruppi di turisti super energici che fanno di questo parco la loro palestra all’aria aperta. Canyoning, trekking, anche quad, discese in corda doppia lungo le cascate, corse organizzate: qui gli sport si praticano tutti. Nove ettari di meraviglia che custodiscono diverse specie endemiche fra cui l’uccello di kagu, il luogo è eccezionale ma è pur sempre un parco. Dunque un concentrato di bellezza. Che, invece, nel resto dell’isola è altrettanto intenso per bellezza, ma “diluito” nella vita di tutti i giorni

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Verso nord con i Cow Boy dell'Oceano

Ora siete pronti per il centro e il grande Nord di questa isola dove si incontra il terzo volto della Nuova Caledonia. Che non è né quello indigeno dei Kanak, né quello rilassato, degli occidentali, residenti o vacanzieri. Loro sono i Caldoche, stanno virtuosamente a mezza via, perché sono un mix di entrambi. Discendenti dei primi coloni, galeotti compresi, ormai naturalizzati “caledonienne”, vi daranno il benvenuto nella brousse, la campagna, la vera frontiera che come ogni “far west” sta ovviamente lungo la costa ovest e, in questo caso, anche al centro di Grande terre.

Lasciando Noumea e dirigendosi – le strade sono buone e gli autonoleggi hanno standard europei – verso La Foa, Sarramea, Bourail e Koné, la Nuova Caledonia infatti muta ancora: praterie punteggiate da ranch dove si gira a cavallo e si allevano animali, boschi che uniscono il verde delle nostre foreste e la sfacciataggine colorata dei fiori tropicali, saranno la cornice di un quadro tutto nuovo da ammirare. I broussards vivono così, fra un rodeo e una fiera - famosa quella del bestiame a Bouloparis in maggio mentre a giugno c’è il festival del formaggio francese - e tanto lavoro nelle loro tenute. Con loro si può andare a cavallo, magari anche a caccia o, la sera in paese, fra uno stufato di cervo e due chiacchiere come in un rifugio delle Alpi, bere un bicchiere di birra, perché, forse vi stupirete, ma Number One e Manta sono prodotte qui.

Nel cuore del Pacifico

Se vi resta tempo libero, c’è sempre il mare, il Pacifico dai mille colori, che vi attende sulle spiagge bianche che vi accompagneranno fino al “cuore” di Grand terre. Ed è un cuore per davvero, disegnato dai capricci delle mangrovie che crescono nella laguna vicino a Voh, un villaggio del nord che si raggiunge dopo aver superato le fabbriche di nichel, l’altro grande “prodotto” da esportazione di questo angolo di Pacifico.

Per “sentire il suo battito” sono fondamentali due cose: l’una lasciare ancora le spiagge e il mare e risalire le montagne di terra rossa per godere dello spettacolo dall’alto. L’altra evitare il mezzogiorno quando la luce è piatta. Ogni cuore, del resto, ha i suoi segreti

Passaggio ad est

E anche Grand terre ne serba ancora due: il primo, per chi abbia oltre venti giorni di tempo, è l’estremo Nord dell’isola con il villaggio di Poum e la vita brada di chi si muove solo a cavallo o a piedi, una sorta di contraltare, ma più selvaggio, del parco più organizzato che sta all’estremo sud. E’ però la costa orientale a riservare un nuovo, fondamentale, passaggio per addentrarsi nell’essenza del Paese.

Scavalcata la montagna, accompagnati dai curvoni quasi dolomitici della Rnp2, dove però, invece, che stelle alpine e genziane, sono flamboyant e bouganville, a fiorire sul percorso, si plana su Poindimié e Hienghèene, due villaggi da cui bussare di nuovo alla porta dei Kanak . Anche se il mare da queste parte è un gran richiamo con le curiose forme della falesia di Linderalique e l’isolotto di Yeega, uno dei paradisi dello snorkeling, ascoltare le storie dei locali e vedere come vivono sarà una delle esperienze più speciale del viaggio

Perle di lealtà

E sarà anche fondamentale per districarsi poi nella vita ai tempi della “Lealtà”, le tre isole di questo arcipelago (www.iles-loyaute.com) che, come una parure di perle preziose, vi dischiuderanno, sì, il mare più bello del mondo, ma anche una vita senza tempo. Su ognuna delle isole si arriva in 20 minuti di volo dalla capitale Noumea. Pochi hotel, tutti ottimi, sono l’unica ancora al nostro senso “europeo” di paradiso tropicale. Per il resto qui si vive spesso scalzi e, pur potendo noleggiare un’auto, a bordo di una bici a zonzo fra l’entroterra di Lifou o Maré, il tempo scorre meglio. Ouveà, la terza sorella di questo arcipelago, più che un’isola, è una scommessa con la fragilità dell’ecosistema.

Due lembi di spiaggia bianchissima e un ponte a congiungere 35 km di mezzaluna di paradiso dove, finalmente, dedicarsi allo snorkeling fra mante e squali di barriera che sembrano vivere ignari dei ruoli che la Natura avrebbe loro assegnato. Tutti in pace, fra coralli multicolore e i pochi turisti estasiati. Il derby di bellezza finisce pari con l’ultima isola della Nuova Caledonia, forse la più nota e già lambita dal turismo “di massa”, anche se qui i numeri sono ancora molto piccoli.

Palme no grazie

L’isola dei Pini ribalta l’immaginario esotico: qui le palme lasciano posto ai pini colonnari sulle spiagge. Come enormi “scovolini” la loro ombra è profumata e si allunga fin sulle lagune, come quelle di Kuto o di Kanumera, dove lente piroghe fanno la spola fra gli hotel mentre quelle dei pescatori stanno più al largo per non mancare di riempire le reti. Ogni giorno qui può sembrare uguale all’altro. Ma a pensarci bene domani sarà ancora più bello di ieri.

 Pubblicato da il 20/04/2015 - - ® Riproduzione vietata

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