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Donnavventura 2010: il reportage di viaggio di Chiara, tra l'Italia e l'Egitto (14 pagine)

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Le immagini di Donnavventura 2010 attraverso i ricordi di Chiara

Chiudo gli occhi e vedo Palmira, perla del deserto siriano, capolavoro di architettura romana. Non si può non rimanere affascinati all’idea di questa grandiosa ed elegante città, florida, monumentale, cosmopolita, vivace, tenace, specchio di quella regina Zenobia che si mise alla testa del suo esercito per trasformarla in un impero che potesse rivaleggiare con Roma. Una follia eppure quasi riuscì nell’intento, costrinse l’imperatore a lasciare l’Urbe per domare quell’intrepida regina, coraggiosa come un’amazzone, bella come una dea, abile stratega, colta e raffinata intellettuale. Ancora oggi rimane parte del colonnato che la attraversava, fare un respiro profondo ed immaginare di essere là, allora, quando tutto succedeva. Girare il capo e vedere botteghe, alzare la testa ed ammirare i capitelli delle colonne, ascoltare i rumori, lo scalpiccio dei cavalli sulla strada lastricata, il vociare dei mercanti, la babele di lingue che qui si parlavano, poiché Palmira era crocevia di rotte carovaniere che portavano meraviglie dall’oriente, seta, spezie, perle e racconti di terre lontane. Il rosa della pietra al tramonto si ammanta di sfumature che la scaldano, rendendo Palmira più bella di qualunque altra città del passato. Chiudendo nuovamente gli occhi e volgendo il capo verso nord vedo l’Acropoli di Atene ed il partendone dedicato alla dea nata dalla testa di Zeus, depositaria di sapienza e saggezza, protettrice di quella città il cui destino glorioso era scritto dalla notte dei tempi. Il luogo dove tutto cominciò, dove la democrazia nacque e l’arte dilagò a macchia d’olio nel Mediterraneo ed oltre, a partire dalla sua forma più alta, la tragedia. Filosofia e architettura, scultura e dialettica, principio e fine di quel sapere a cui ancora oggi ci si appella, in cerca di risposte, in cerca di quell’”uomo” che è misura di stesso e dei propri limiti. Prosperità e guerra, pace ed eroismo estremo, sempiterno modello di impareggiabile perfezione. E poi vedo il Nilo, culla di una civiltà straordinaria, misteriosa ed affascinante che ancora non ha finito di raccontare di se, poiché la sabbia del deserto continua a custodire, gelosa e avida, i segreti dei suoi signori e dei suoi dei. Il Nilo con le sue rive armoniose ed eterne. Ciuffi di papiri bordano il limitare dell’acqua, offrendo riparo alla variegata avifauna, i grandi aironi cinerini osservano eleganti i più sbarazzini cugini rossi, mentre un martin pescatore nero e grigio scruta ciò che si muove al di sotto del pelo dell’acqua, pronto a scendere in picchiata. Le bianche spatole fanno da sentinella ai pacifici buoi al pascolo, mentre due piccole upupe striate si appollaiano appena al di sopra di loro, alzando di tanto in tanto la cresta vermiglia. Un paesaggio di questi ed altri tempi, riprodotto nei suoi soggetti sulle pareti di antichi templi. L’acqua, il sole, il loto, il papiro, gli animali, gli dei che degli animali prendono le sembianze, Sobek il dio coccodrillo, Hator la dea con orecchie di vacca, Thot dalla testa di ibis patrono degli scribi, l’inquietante Anubi lo sciacallo protettore degli imbalsamatori e poi Horus il dio falco custode dell’ordine celeste e Sekhmet la temibile leonessa dea della distruzione. Fusione straordinaria fra natura e magia, religione e architettura che resiste al tempo e prepotente vi si impone con quell’aura di maestosità e di potere che ancora trasuda dalle pareti scappellate con maestria. Ipotesi fantasiose di costruzioni extraterrestri che non riconoscono la genialità umana, offuscate forse dalla pochezza dei nostri tempi. Ingegno messo in atto per celebrare l’uomo che si è fatto dio e cha ha riconosciuto in se stesso la massima autorità.
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