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Itinerari turistici in Bassa Valtellina e nelle sue diramazioni, cosa visitare

Tutti pensano di conoscerla, ma forse la attraversano troppo in fretta, diretti in montagna, d’estate come d’inverno.
Eppure la Valtellina e le sue diramazioni hanno un cuore grande anche in “basso” laddove la Strada Statale 38, spauracchio di tante code, indurrebbe ad una percorrenza più ragionata. Dimenticate per una volta, Bormio e lo Stelvio, Livigno, Aprica, Santa Caterina Valfurva.

Se per una volta la meta non sono né lo sci, né le terme né i picchi che – dal Bernina al Disgrazia, dal Badile alle Tredici Cime - hanno fatto la storia dell’alpinismo, è bello andare a zonzo per e sue bellezze di bassa quota.

Da una parte le Alpi, dall’altra le Prealpi. Da un parte il sole sul versante retico, che fa maturare i leggendari vini rossi del territorio, dall’altra l’ombra e il fresco del versante orobico, dove riposano formaggi decisi come lo storico bitto. In mezzo, voi, e le mille possibilità di un tour diverso.

Chiavenna


Si comincia, come conviene, dall’inizio o, meglio, da una delle porte che un tempo permettevano di svalicare oltreconfine.
Chiavenna è da sempre la “clavis”, la chiave d’accesso ai Grigioni svizzeri. Le curve del passo dello Spluga si inerpicano ancora vertiginose lungo la via che permette di passare in rassegna le scenografiche cascate di Pianazzo, le piste di Madesimo con il canalone Groppera, amato ieri da Dino Buzzati e oggi dai freerider o il piccolo borgo di confine, su a Montespluga.
Che fosse una via “mala” e pericolosa lo testimoniano, oltre alle curve impervie, le molte chiese sparse lungo il percorso. Da non perdere, sospeso a 800 metri di quota, il santuario di Gallivaggio dove perfino la Madonna si premurò di apparire nel 1492 a due ragazze in cerca di castagne.

Restando a valle, però, lungo il letto del fiume Mera, il borgo di Chiavenna è una piccola poesia di pietra: nei crotti ombrosi si fa ancora festa a fine estate con scorpacciate di prodotti locali, che poi si smaltiscono passeggiando verso Savogno e Dasile e i balzi delle cascate dell’acqua Fraggia o nel parco delle Marmitte dei Giganti, formate delle acque del fiume all’imbocco della Val Bregaglia. Questi sono due must del fuori porta di Chiavenna. Restando “downtown”, invece, da non perdere la collegiata di San Lorenzo, il giardino del Paradiso e poi una passeggiata sui suoi romantici ponti sul fiume.

Morbegno e la via sud


Se Chiavenna è la porta della Alpi, la sua “guardia” è Morbegno che può essere il “campo base” per molte scoperte belle e alternative.
Verso sud si possono esplorare le valli “del Bitto”, da Gerola al passo San Marco e Tartano. C’è Pedesina, uno dei comuni più piccoli d’Italia, ci sono Sacco, Cosio e Bema con le sue antichissime case in pietra.

D’inverno fra Gerola e Pescegallo si scia anche senza diventare campioni come le sorelle Irene ed Elena Curtoni, orgoglio di questi luoghi. Per il resto dell’anno si custodisce una produzione di nicchia, oggi presidio Slowfood, che il mondo ci invidia, quella del bitto, il formaggio d’alpe a latte crudo che tanto contribuisce alla gastronomia locale (www.formaggiobitto.com).
Ma non è tutto: queste sono valli spesso aspre e “wild”, amate dagli scialpinisti d’inverno e dagli escursionisti d’estate. E poi da lui: quell’Homo Salvadego che ancora campeggia negli affreschi cinquecenteschi di una casa notabile di Sacco. Ha una clava in mano e mette subito le cose in chiaro: “Chi me ofende ge fo pagura”. Se offeso, reagirà.

Il nostro Yosemite


I titoli si sprecano anche quando non servirebbero: da Morbegno, superato Tartano, si può entrare in… California. Basta salire un poco oltre i minuscoli abitati di Cataeggio e Filorera per arrivare nel capoluogo della “Yosemite valley” più lombarda che c’è: San Martino con la Val di Mello e la Val Masino.
Due valli, tanto granito da far impallidire il celebre parco californiano e da richiamare migliaia di climber ed amanti delle emozioni verticali dell’arrampicata. Qui è nata l’arrampicata sportiva in salsa tricolore con le prodezze anni Settanta di Ivan Guerini: il “Risveglio di Kundalini”, “Oceano irrazionale” e poi “Luna nascente”, “Precipizio degli asteroidi”. Nomi evocativi di vie di roccia e di un’epopea che anche oggi continua con il bouldering a Sasso Remenno, un “meterorite” atterrato quasi sulla strada d’accesso a San Martino dove, ogni primavera, si radunano climber “sassisti” da tutto il mondo per il celebre “Mello blocco” (www.melloblocco.it).

La “cugina” Val Masino, con le pareti che sfiorano i tremila metri di Pizzo Badile, Cengalo e Sfinge è stata, invece, il regno di Giancluca Maspes, per tutti “rampikino”.
Al suo soprannome non serve aggiungere altro, se non che, anche per tutti gli altri, quelli che le montagne preferiscono guardarle di sotto in su, queste due valli sono una bellissima scoperta. La val di Mello ha un “letto” pianeggiante e poetico con un fiume che suggerisce numerose oasi di sosta per pic nic. Si possono scegliere anche i vari rifugi del fondo valle o il rifugio Allievi, già in ambiente, sicuri, in entrambi i casi di poter osservare in parete i “grimpeur” più accaniti. La Val Masino permette escursioni che in poco più di due ore, adatte a chi abbia un allenamento di base, conducono ai rifugi Omio e Gianetti, dove magari condividere tavolo e cena con alpinisti veri impegnati in alte vie.

Berbenno e Postalesio


Anche più a valle la natura da spettacolo. Ed ecco due chicche da non perdere lungo la strada. Percorrendo la Statale 38 spunta all’improvviso: ed è una di quelle meraviglie che saltano all’occhio.
La chiesa di San Pietro a Berbenno di Valtellina se ne sta sola, in mezzo al prato e fa immaginare come doveva essere la vita secoli fa, senza industrie ne auto intorno. Oggi il borgo è noto soprattutto per aver dato i natali ad un’altra grandissima dello sport azzurro: Arianna Fontana, la campionessa di Short Track. Di lei di sa tutto, della piccola chiesa, invece, pochissimo: la sua costruzione è avvolta nel mistero, ma è collocabile tra il VII e il X secolo. A causa delle alluvioni, purtroppo frequenti anche in tempi recenti, e dei movimenti del terreno, il pavimento nel corso del tempo si è sollevato. All’interno, nella speranza non sempre ripagata di trovarla aperta, dell’edificio si conservano preziose tele, il fonte battesimale, un pulpito cinquecentesco, una balaustra in marmo ed un crocifisso ligneo.

Se a questa bellezza e al linguaggio di questa architettura siete pronti, certamente non credevate forse che in Valtellina esistessero anche le “piramidi”: l’Egitto non c’entra.
Siamo a Postalesio e le sue piramidi sono formate dalla roccia e dall’erosione degli elementi. Si trovano all’interno di una riserva naturale protetta, istituita nel 1984 e facilmente raggiungibile (cartelli per Maggenghi). Il loro nome dialettale è “pilùn”, cioè pilastri, per la loro forma alta e slanciata che spazia dai 3 ai 12 metri.

Tutti chiesa e... miniera


Dopo le piramidi è ora di tornar in montagna, anzi in chiesa: la Valmalenco si stacca ripida sopra a Sondrio, il capoluogo.
D’inverno è inutile pensare di evitare le sue bellissime piste da sci, servite dall’avveniristica “snow eagle”, una delle funivie più grandi d’Europa. D’estate però il lago Palù, l’alpe di San Giuseppe e il borgo di Chiareggio, che d’inverno si raggiunge solo a piedi o con i gatti delle nevi, sono già un’ottima ragione per una visita.
Aggiungi che Torre Santa Maria, Chiesa e il santuario di Primolo sono piacevoli “scuse” per una visita e una base perfetta per escursioni ai facili rifugi della zona, dal Bosio – Galli al Porro, fino all’antica capanna Desio: a questo punto potreste non avere tempo per altro. E sarebbe un peccato perché, invece, anche senza calcar gli scarponi potreste non si rinuncia all’avventura. Questa volta non “en plein air”, ma sotto terra: l’indirizzo giusto è fra Lanzada e Caspoggio ed è la miniera di Bagnada, regno underground di un tempo che in Valmalenco significava fatica.
La visita, fra scale, cunicoli e magia è un’emozione senza tempo adatta anche ai bambini (www.minieradellabagnada.it). Si, perché questa zona della Valtellina ha fatto la storia estraendo talco, amianto e anche pietra ollare. Un‘arte antica che ancora oggi è il trademark locale.

Ponte e Teglio


Tornati sulla via maestra e, superato il capoluogo Sondrio, si entra nel “core business” della Valtellina.
Uno dei borghi meglio conservati è Ponte: se ne sta abbarbicato sulle pendici retiche della valle e le pietre del suo antico nucleo raccontano una storia di potere e privilegio per questo centro agricolo, immerso fra i terrazzamenti e i vitigni. Non lontano c’è anche un santuario dedicato all’oro “rosso” (e bevibile) della zona: è il santuario della Madonna del Sassella.

Ponte custodisce un’altra chiesa meravigliosa: è San Maurizio, con la sua facciata color ocra, dove anche il pittore Bernardino Luini lasciò la sua firma, decorando la lunetta quattrocentesca. Intorno case medievali, torri di difesa ed anche un palazzo tardo cinquecentesco, il Guicciardi, che conserva un antico sistema di riscaldamento a “stua”. La star dei luoghi, però, è il borgo di Teglio, che alla valle ha dato il nome di “tellina” e a tutti gli altri ha regalato per sempre il gusto dei pizzoccheri, “straccetti” di grano saraceno da gustare con abbondante formaggio, burro, verze e patate. Teglio è una bella sorpresa, che va scoperta inerpicandosi sulla montagna fino a mezza costa, a quota 851 metri s.l.m.
L’abitato era già noto in epoca preromana e i suoi edifici fanno capire che spesso la storia è passato di qui. Lo si intuisce dalle belle forme della parrocchiale dedicata a Santa Eufemia e dall’oratorio dei Bianchi dove campeggia un affresco dedicato alla “Danza Macabra”, tipica iconografia germanica e d’oltre confine. Ma è soprattutto il Palazzo Besta a rubare la scena con la sua mole rinascimentale che dimostra una lungo sodalizio dei luoghi con il potere.

Le due Madonne


Senza rischio di essere blasfemi: più ci si inoltra nella valle che ormai comincia a salire solleticando le cime, più il fervore e la necessità di sentirsi vicini e cari agli dei doveva aver motivato la costruzione di altre chiese bellissime che punteggiano la via.
La prima, meno “fortunata” pur bellissima, è dedicata alla Madonna del Piano. Se ne sta, ovviamente, in pianura, circondata da un prato verde e perfetto e sbuca quasi inaspettata a Bianzone, isolata rispetto al resto dell’abitato, un po’ come per la chiesa di Berbenno, a inizio valle. La sua luminosa facciata barocca, scandita da lesene e pietra verde nasconde un campanile romanico, testimone di molte vicissitudini che compongono la storia anche dolorosa di questo edificio.

Della primitiva struttura, la cui fondazione risale probabilmente al XIII secolo, non resta più niente, perché la chiesa venne ricostruita nel corso del XV secolo. Fu dopo l’apparizione della Madonna a Battista de’ Flagelli nel 1676 che l’antica chiesa ricevette nuova veste architettonica, diventando uno degli edifici sacri più ammirati della valle. E sfortunatamente anche uno dei più derubati e violati, soprattutto negli anni ’60 e ‘70, quando furono asportati tutti gli arredi. Poi i furti e oggi un tentativo di recupero pur non completo.
La sua bellezza, seppure scalfita dal tempo e dagli eventi, rivaleggia con la ben più fortunata e celebre Madonna di Tirano che protegge ancora tutti coloro che si spingano fin quassù, altro nodo cruciale verso la Svizzera, attraverso la Val Poschiavo. Il santuario del 1505 se ne sta in centro alla città, proprio a pochi metri da dove le rotaie del trenino rosso del Bernina accompagnano i vagoni colorati nel loro viaggio più emozionante, verso i ghiacciai eterni di Diavolezza e Morterasch fino a Sankt Moritz. Per chi resta, c’è Tirano con le sue vetrine alla moda e il culto di una chiesa capolavoro di marmi ed intarsi.

Grosio e Grosotto


Ora la valle sale decisamente: sono in parte anche i luoghi che la gente non dimentica, quando nel 1987 la Valtellina “implose” e franò cambiando all’improvviso e per sempre il suo profilo. A non essere cancellati, nonostante tutto, furono sia la bellezza dei luoghi, sia la forza degli abitanti, sia il più tenace dei passati, come quello preistorico che si ritrova intatto fra Grosotto e Grosio.
In questi borghi di media valle, oltre ai bei palazzi ottocenteschi e alla mole di Castel Nuovo e quella di Castel Faustino, c’è anche una vera chicca, il Parco delle incisioni rupestri, di probabile matrice camuna, “gemellata” quindi con le più famose incisione della val Camonica, sull’altro versante delle Prealpi. Un legame suggestivo, che affonda le sue radici ne neolitico ed è ancora tutto da indagare (parcoincisionigrosio.it).


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 Pubblicato da il 13/07/2020 - - ® Riproduzione vietata

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