Dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1988 e generalmente annoverata tra le sette meraviglie del mondo moderno, Timbuctu (Timbuktu o Tumbutu in Koyra Chiini) è un’antica città del Mali situata nella parte centrale del paese a pochi chilometri di distanza dalle sponde del fiume Niger. Il centro si è sviluppato in un’area brulla, ricoperta dal deserto e sostanzialmente priva di elementi naturali di rilievo, nonché isolata da qualsiasi altro insediamento umano; anche per questo Timbuctu è il capoluogo dell’omonima regione ed ospita quasi 60.000 abitanti. Seppur al centro di un territorio turbolento dal punto di vista sociale e politico, Timbuctu è una tappa imprescindibile durante un viaggio in Mali per via delle emozioni e delle sensazioni uniche che è in grado di regalare.
Fondata poco dopo l’anno mille da una donna di nome Buctù, che in lingua tamachek significa letteralmente “madre dal grosso ombelico”, Timbuctu raggiunse l’apogeo economico e culturale tra il XIV e il XVI secolo, quando l’insediamento era da tutti considerato una delle polarità del mondo arabo. A quell’epoca risale lo storico pellegrinaggio orchestrato dal nono imperatore del Mali Mansa Musa che, scortato da 8.000 fedeli e centinaia di cammelli, coprì l’enorme distanza che separava il suo palazzo da La Mecca, in Arabia Saudita. Anche per via di queste imprese leggendarie, in Europa Timbuctu fu sempre vista come un mondo al limite tra il reale e il mitologico, tanto che solo le spedizioni compiute all’inizio dell’Ottocento riuscirono a fare un po’ di chiarezza sulla storia e le origini della città. Seppur lontana dallo splendore di un tempo, l’odierna Timbuctu è un luogo vitale e attivo, nonché un punto di riferimento per tutti coloro che abbiano intenzione di conoscere meglio la storia di questo grande paese.
Varcando la soglia di una delle porte del centro pare di entrare nella macchina del tempo e tornare indietro di 600 anni. Passeggiando per le stradine silenziose delimitate da edifici di fango e horr, una pietra calcarea di color ocra-rosso che ben si addice ad una regione in cui il sole e le temperature elevate imperversano per tutto l’anno, si colgono ancora gli odori, i colori e i sapori di un tempo, quando da Timbuctu transitavano oro, schiavi e avorio diretti a tutti gli angoli del mondo arabo. Nonostante le strade appaiano strette e anguste, verso l’interno quasi tutte le abitazioni si aprono verso pittoresche corti dove gli abitanti amano trascorrere le ore dopo il tramonto del sole. L’architettura, ma non solo, è uno dei campi in cui le tradizioni vengono trasmesse oralmente da padre in figlio, mantenendo vive usanze in voga da secoli e ancora estremamente efficaci per sopravvivere in un habitat duro e difficile come il deserto.
Osservando lo skyline urbano della città, dai bassi tetti delle case svettano i minareti delle tre moschee più importanti del centro: Djingareiber, conosciuta come la Grande Moschea, costruita nel 1325 e l’unica attualmente aperta ai visitatori; Sidi Yaya, costruita con tutti i crismi dell’architettura locale; e Sankoré, terminata nel XVI secolo sul modello della Kaba e utilizzata anche come scuola coranica. Ai piedi di questi edifici si notano le bancarelle degli artigiani che, dall’alba al tramonto, sono intenti a lavorare ai propri manufatti di terracotta, cuoio e stoffa dai quali traspare la commistione culturale che per secoli ha contraddistinto Timbuctu.
In gennaio, quando si allenta la morsa del caldo, ha luogo l’evento principale del calendario annuale della regione: il Festival au Désert (Festival nel Deserto). La manifestazione, che ricorre dal 2001, si tiene a Essakane, una piccola località distante 65 chilometri da Timbuctu, per ricordare i raduni annuali della popolazione tuareg che, tradizionalmente, si davano appuntamento per scambiarsi notizie e informazioni dopo un anno da nomadi vissuto in giro. Per cercare di rinnovarsi e rendere sempre più interessanti le celebrazioni, ogni anno il festival mette al centro un paese diverso; recentemente, l’onore è toccato a Marocco e Senegal.
Il clima è desertico, caldo e secco per tutto l’anno, durante il quale cadono in media appena 180 mm di pioggia concentrati tra luglio e l’inizio di settembre. Il periodo più caldo è quello compreso tra aprile e giugno, quando le temperature massime sono sempre di qualche grado superiori ai 40 e le minime oscillano intorno ai 20, mentre quello più fresco coincide coi mesi di dicembre e gennaio, entrambi caratterizzati da valori compresi mediamente tra 30 e 13 gradi. In questo periodo spira l’Harmattan, un vento secco e polveroso che ha il potere di oscurare il sole anche per diversi giorni e di ricoprire intere città di una polvere fine e molto fastidiosa.
La città è servita da un piccolo aeroporto inaugurato nel lontano 1961, il Timbuctu Airport, collegato a Bamako e Mopti dalla Air Mali. In tutto il paese, eccetto la Dakar-Niger Railway, non ci sono reti ferroviarie, perciò le uniche alternative all’aereo per raggiungere Timbuctu sono l’automobile e il battello. In auto ci si dovrà confrontare con lo stato non certo impeccabile della rete stradale nazionale, composta prevalentemente da percorsi sterrati e accidentati, oltre che poco sicuri per via delle bande armate che li percorrono, mentre in nave ci si può spostare lungo il corso del Niger.
Venti di guerra soffiano attorno a questo luogo incredibile, la destinazione è attualmente tra quelle sconsigliate dal Ministero degli Esteri, prima di partire leggete qui gli aggiornamenti.