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L'Expo in un giorno. Cosa non perdere: itinerario e consigli utili

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C’è odore di nuovo”, grida felice il bimbo alla mamma entrando nel Padiglione Zero. Beata infanzia: mai sintesi fu più perfetta. L’Expo 2015 ha aperto i battenti da poche ore mentre ancora, oltre che di nuovo, i suoi padiglioni profumano anche di non finito. La macchina si sta oliando e servirà ancora qualche settimana per andare a regime, ma poco importa perché la festa è cominciata e la prima raccomandazione è quella di non avere “fame” di vedere tutto subito. Insomma, nonostante il cibo sia il tema portante di questa esposizione universale, date tempo al tempo.

Ecco qualche consiglio su che cosa non perdersi, avendo un solo giorno a disposizione, e se siete in cerca di una sistemazione in città ecco una selezione di appartamenti a Milano in affitto.

Caos e sorrisi

Intanto la prima cosa che colpisce e che va apprezzata è la gentilezza di tutti, dagli operatori alle hostess, ai volontari: loro un sorriso non lo negano a nessuno. Eppure sono sfiniti dai chilometri che si accumulano passeggiando, informando e “soccorrendo” su e giù dal chilometro abbondante del decumano, i visitatori curiosi, smarriti o semplicemente provati dall’infilata di padiglioni da visitare. Anche questo, a suo modo è un quadro che va considerato. Si, perché lungo il decumano va in scena, anzi in tavola, non una vita, ma mille vite. O almeno 140 modi di vivere, considerando solo i padiglioni, cui si aggiungono i cluster che raggruppano altri paesi, a seconda delle diverse colture dal cacao, al riso, dal caffè, ai cereali.

Padiglione Zero

E’ bene iniziare… dall’inizio, anzi dallo zero, del Padiglione Zero, firmato da Davide Rampello e Michele De Lucchi, che con il suo claim “Divinus Halitus terrae” è anche il primo che si incontra dall’ingresso ovest, dove arrivano anche ferrovia e metropolitana. Le sue grandi dune, visibili anche dall’autostrada, rappresentano in realtà le colline italiane. Ma è l’interno a conquistare: per entrarvi si transita sotto una grande scenografia che richiama le grandi biblioteche del passato. Perché il senso del padiglione è racchiudere, in un pugno di “istantanee”, la conoscenza e l’evoluzione dell’ambiente e del cibo. Dopo aver visitato questo padiglione, sarà difficile pensare di “farsi bastare” un museo tradizionale. Il padiglione, infatti, coniuga la modernità della multimedialità alla tradizione, grazie ad alcuni reperti archeologici di grande valore. In pratica questo è uno dei pochi padiglioni che, oltre ad essere un bel contenitore, ha anche un “contenuto” prezioso. Crateri greci e ceramiche preistoriche, bicchieri di età romana, raccolte da diversi musei europei, stanno in vetrina a simboleggiare “i piatti” in cui l’umanità da sempre ha consumato il cibo, quel cibo che è invece illustrato nelle varie sale. Da grandi fotografie di frutti, a bacheche di semi, fino a riproduzioni a grandezza naturale di animali fra cui si può passeggiare liberamente, non come in un museo dove ogni cosa è distante e protetta dal visitatore. Si arriva così all’esterno e alla grande tavola di legno che rappresenta la pangea – cioè il mondo unito, prima della deriva dei continenti - per poi rientrare nell’oscurità del padiglione dove un’enorme video, come nelle borse di oggi, mostra i consumi e gli sprechi di cibo con il fluire dei secondi.

La Madonna accanto al Nepal

Quando si dice il caso: una delle cose da non perdere è uno scatto con la riproduzione della Madonnina che abbellisce il padiglione della veneranda fabbrica del Duomo. Ma bastano pochi passi et voilà, ecco spuntare una pagoda buddista ed una “stupa” induista. Considerando lo sguardo della Madonnina che si allunga fino a qui, è come avere tre religioni in pochi passi: il Nepal è vicino al “duomo” e il suo padiglione ancora da finire, va visitato anche per contribuire con aiuti immediati alla popolazione colpita dal terremoto. Qui sono rimasti in sei, quattro operai e due capo cantiere, perché in 11 sono rientrati a Kathmandu avendo avuto gravi perdite. Chi è rimasto ripete “Family ok, village no”, e viene visto dalla “gente di Expo” come un eroe. I visitatori, invece, a breve potranno gustarsi diverse mostre fotografiche allestite all’interno degli spazi, una serie di concerti benefici, mentre una riproduzione della Piramide del Cnr, non lontana dal campo base dell’Everest, proietta video del terremoto. Alcuni studiosi fanno sapere che secondo le ultime rilevazione la valanga che ha colpito il campo base è pari al crollo delle due torri gemelle, ma con un peso molto maggiore. Una visita al padiglione permette di ascoltare molte storie come queste e a non perdere il contatto con la realtà.

L'avventura Brazil

Buttandosi poi nel cuore del decumano, una delle attrattive da non perdere è il padiglione del Brasile che oltre che bello, verde e fiorito, è anche “avventuroso”. Quello che si dice, una vera selezione all’ingresso. Ci sono scale ed ascensori, ma per salire ai piani il visitatore può anche decidere di sfidare l’equilibrio, arrampicandosi per una rete di canapa. Vietato dondolarsi anche se poi lo fanno tutti, alcuni accennando anche a qualche passo di samba. Sotto i piedi, sospesi nella rete, si può ammirare, come in una jungla “ordinata”, le diverse specie di piante che compongono l’ecosistema del Paese, mentre negli spazi interni, bianchissimi, semi e fiori se ne stanno appesi in numerose istallazioni di design, fra cui, ancora una volta si può passeggiare liberamente, toccando con mano e con “toda joia” la grande biodiversità del paese.

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Colombia sotto e sopra

Restando in Sudamerica, ma dovendo selezionare il tour, il padiglione della Colombia, quasi a metà del decumano, ha due grandi pregi. Il primo di essere molto didattico grazie all’ampio uso di video e touch screen interattivi. Questo è uno dei “contenitori” più belli di tutta Expo, perché il grande sforzo dei progettisti è stato quello di “portare” l’emozione del paesaggio colombiano all’interno di un semplice edificio. E’ così che, passeggiando, si conosce la varietà della natura colombiana a partire proprio dalla temperatura che varia in ogni ambiente a seconda del segmento e del clima descritto. Il secondo pregio del padiglione sta, invece, in … un ascensore. La stanza più spettacolare, infatti, permette al visitatore di sperimentare una “discesa” vorticosa, dalle cime innevate del Nevado del Ruiz, passando per i profumi della zona “cafetera”, fino ad arrivare al livello del mare e poi ancora oltre, nelle profondità colorate del Caribe colombiano. Il tutto grazie a video e fotografie spettacolari.

Cina prima della classe

La Cina non è mai stata così vicina e fiorita di tagete che accompagnano l’inevitabile fila di persone negli spazi aperti dove si fa “anticamera”, prima di accedere al padiglione vero e proprio. Che è uno dei più grandi e suggestivi. Il percorso si snoda fra bambù di alluminio che rappresentano l’incontro fra ambiente urbano e paesaggio rurale. Al piano terra sono molti i reperti che raccontano di questa cultura millenaria. L’interattività è massima perché ai vari touch screen lungo il percorso si può anche virtualmente fare la spesa che verrà consegnata all’uscita del cluster. Salendo ai piani superiori, la foresta di bambù si illumina ad illustrare, con un video, come sia possibile sfamare oggi un quinto della popolazione mondiale. Questa è la sfida che il padiglione si propone di raccontare se è vero che uno dei modi più diffusi per salutarsi oggi in mandarino è “Ni Chi le ma’”, “Sei riuscito a mangiare oggi?”.

Padiglione Italia, orgoglio e qualche pregiudizio

All’incrocio del Cardo, davanti all’albero della Vita e al Lake Arena c’è il Padiglione Italia. Che in realtà ha ancora bisogno di qualche aggiustamento, ma che per orgoglio di patria va sicuramente incluso anche nella visita di un solo giorno. La struttura non è ancora aperta completamente. Il quarto piano per esempio con il bar e il ristorante sono aperti a singhiozzo. Qualche difficoltà anche “di deambulazione” dato che gli ascensori sono riservati a passeggini e carrozzelle e non tutti gli impianti salgono e scendono percorrendo i 4 piani nello stesso modo. Il percorso a piedi è molto lungo ma suggestivo. Si va delle sale dell’arte dove spicca la Vucciria di Guttuso ma non ancora gli altri capolavori promessi tra cui il simbolo dell’Expo, quell’Ortolano dell’Arcimboldo che ha ispirato la mascotte “foody” e che ancora non è visibile. Al piano terzo sono in mostra, in compenso come opere d’arte racchiuse in teche, mozzarelle, fichi, pomodori, la natura nel suo splendore, poi una serie di giardini che riproducono il diverso paesaggio italiano e, infine, ancora, una cartina del mondo che fa capire come (e quanto brutto) sarebbe se non ci fosse l’Italia con una suggestiva serie di contributi di grandi architetti e personalità che spiegano il valore del Belpaese. E’ qui che si può anche firmare la carta di Milano, primo firmatario Matteo Renzi all’opening di Expo, con i cardini del new deal per il pianeta. Ai piani inferiori c’è la parte più suggestiva: in una modernissima galleria degli specchi scorrono immagini dell’Italia più bella, fra monumento e paesaggi. Gli spazi aperti, infine, propongono un dialogo fra antico e moderno, grazie ad una statua di Demetra di epoca romana giunta dagli Uffizi di Firenze, posta accanto ad una rilettura moderna dell’antico, firmata da Vanessa Beecroft e realizzata ad hoc per Expo. A questo punto, toccato il capo opposto del Decumano vi sembrerà di aver percorso lunghe distanze. In realtà lo spazio, rispetto all’orbe terrestre, è piccolo, ma le emozioni grandissime e, come per un buon piatto, occorre il giusto tempo per gustarlo.

Leggete anche: cosa fare ad Expo il secondo giorno e cosa e dove mangiare ad Expo.

 Pubblicato da il 04/05/2015 - - ® Riproduzione vietata

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